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Efficienza degli enti pubblici, le criticità della burocrazia italiana

È passato un po’ in sordina sotto il sole di ferragosto un importante report dell’ufficio studi di Confartigianato sul livello di efficienza degli enti pubblici dal quale emerge una situazione di criticità della pubblica amministrazione locale italiana.

Nel 2022 l’Italia è al ventiquattresimo posto in Unione europea per il grado di soddisfazione dei cittadini verso i servizi pubblici e in ventiseiesima posizione per la fiducia che la popolazione ripone nella pubblica amministrazione.

In generale, emerge una bassa disponibilità di servizi telematici: solo il 28% della amministrazioni locali permette ai cittadini di completare online le pratiche amministrative, effettuando dove richiesto anche un pagamento elettronico. Questa percentuale media sale al 35% al centro e al nord e scende al 13% al sud.

Il 28,4% dei cittadini che si reca fisicamente a un ufficio anagrafe comunale attende in coda per oltre 20 minuti, mentre era il 17,4% di dieci anni prima. Nel mezzogiorno la quota sale al 31,8%. L’aumento dei tempi di permanenza dei cittadini agli sportelli fisici è generato anche dai colli di bottiglia creati dalle piattaforme digitali che talvolta presentano inefficienze, anche in termini di tempi di efficacia di erogazione del servizio, che obbligano l’utente a presentarsi di persona agli uffici della pubblica amministrazione.

Secondo il rapporto di Confartigianato, il 31,6% dei cittadini che da maggio 2020 a gennaio 2022 si sono rivolti a un ufficio pubblico, pari a circa 6,3 milioni di persone, ha espresso insoddisfazione o ha constatato un peggioramento della qualità dei servizi. In merito a questo dato è però necessario considerare le oggettive difficoltà del periodo pandemico che possono aver influito sulle valutazioni.

Anche dal punto di vista delle imprese ci sono molti ambiti di miglioramento: secondo la ricerca oggi in Italia per ogni impresa sono mediamente necessarie 238 ore l’anno per la gestione dei vari adempimenti burocratici.

Ne abbiamo parlato direttamente anche con il Presidente di Confartigianato Marco Granelli che ha citato l’esempio del fascicolo di impresa, un luogo virtuale di cui se ne parla da anni e che dovrebbe contenere i documenti delle aziende in modo centralizzato e sempre disponibili per le stazioni appaltanti. A oggi la sua mancata attuazione comporta per le imprese l’onere burocratico di ripresentare in ogni appalto gli stessi documenti e le medesime informazioni già consegnate in appalti precedenti. Questo appesantimento di oneri burocratici per le aziende porta il sistema Italia a un livello qualitativo inferiore a quelli europei. Per esempio, l’aggiudicazione di un appalto ordinario (una pavimentazione stradale) in Italia richiede 210 giorni in più rispetto alla media europea.

Il Presidente Granelli ha parlato del concetto di “buona burocrazia”, un sistema nel quale la pubblica amministrazione è in grado di ridurre il tempo che le aziende dedicano agli adempimenti amministrativi, consentendo al sistema produttivo di recuperare produttività e creare valore aggiunto.

La buona burocrazia è un approccio di governo dell’ente pubblico in cui l’attenzione è posta su digitalizzazione dei rapporti con la pubblica amministrazione, standardizzazione dei procedimenti e della modulistica, interoperabilità delle banche dati, semplificazione dei controlli e riorganizzazione delle competenze.

Le risorse messe in campo dal PNRR (Piano nazionale di ripresa e resilienza) sono importanti, ma secondo i rappresentanti di Confartigianato i risultati devono essere valutati non tanto come “capacità di spendere i fondi disponibili quanto come capacità di mettere a terra le risorse in modo amministrativamente sostenibile, che significa leggere l’efficacia dell’investimento in termini di riduzione dei tempi dei procedimenti della pubblica amministrazione”.

I risultati del report e le riflessioni dei rappresentanti di Confartigianato confermano le considerazioni espresse in altri due studi presentati quasi contemporaneamente.

Il primo è l’indice DESI 2022 (Digital Economy and Society Index) introdotto nel 2015 dalla Commissione Europea per monitorare la competitività digitale degli Stati membri.

L’Italia nel 2022, nonostante sia il terzo più importante sistema economico europeo, rimane in fondo alla classifica, collocandosi al diciottesimo posto su ventisette a causa della debolezza nei servizi pubblici digitali e nelle competenze. La carenza nelle competenze si rileva sia a livello base (oltre la metà dei cittadini italiani non possiede ancora competenze digitali di base) che specialistico (la percentuale degli specialisti digitali nella forza lavoro italiana, dei laureati e degli iscritti nel settore dell’information communication technology è inferiore alla media europea).

La Commissione Europea per il nostro paese osserva che “è assolutamente necessario un deciso cambio di passo nella preparazione dell’Italia in materia di competenze digitali”.

Il secondo rapporto è quello del Forum The European House – Ambrosetti, un incontro internazionale di discussione su temi principalmente economici che si tiene ogni anno a Cernobbio. In linea con gli studi di Confartigianato e della Commissione lo studio, condotto su oltre 200 aziende, evidenzia come negli ultimi 20 anni l’Italia è cresciuta a un tasso medio dello 0,2% annuo, tra 6 e 9 volte meno di quello degli altri grandi Paesi europei. Le cause di questa bassa crescita sono da ricercare in una carenza di managerialità, di formazione, di allocazione del capitale umano, di digitalizzazione, di sostenibilità e di efficienza della pubblica amministrazione. Tra le raccomandazioni si propone un new deal delle competenze legate alle tecnologie.

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